Oggi parliamo della storia, degli aneddoti e delle particolarità legate a questo luogo, che è un capolavoro d’innovazione sia nell’ingegneria che nello stile. Il sito, che impreziosisce lo scenario artistico e turistico della provincia di Caserta, è protetto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità dal 1997.
La costruzione di questo acquedotto fu uno straordinario successo architettonico perché portava l’acqua dalle sorgenti del Fizzo alle vie d’acqua del Palazzo Reale di Caserta. Questo consentì a Luigi Vanvitelli di accrescere la sua fama, riuscendo a smentire tutti gli scettici che credevano che l’acqua del Fizzo non sarebbe mai arrivata fino a Caserta.
L’acquedotto fece arrivare l’acqua anche a Sant’Agata de’ Goti, a san Leucio ed ai mulini, alle vasche, alle fontane, alle peschiere, ai giardini e agli impianti idrici dell’intera Reggia e della città di Caserta. Oltretutto servì anche all’irrigazione dei campi e all’abbeveraggio del bestiame.
Fra il 1753 ed il 1755 fu costruito il primo tronco dell’acquedotto dalle sorgenti del Fizzo al monte Ciesco. Fra il 1755 ed il 1762 fu forato il monte Croce dove si trovarono molte difficoltà, tali da decidere di sospendere i lavori. Successivamente si proseguì con la perforazione dei monti Castrone, Acquavivola, Sagrestia, Fiero, Fano e Durazzano.
Nel 1755 si giunse anche alla foratura del monte Longano. Vanvitelli decise poi di raggiungere il monte Garzano attraverso la costruzione di un ponte che superasse la grande vallata fra i due monti. Il ponte, cosiddetto Ponti della Valle, all’epoca fu il ponte più lungo di tutta Europa e ricorda lo stile di quelli romani ma li supera in maestosità. Vanvitelli non si fermò, decise di forare anche il monte Garzano. Dopo tre anni di duro lavoro, usando la polvere da sparo, completò anche questa parte. Nel 1759 Carlo di Borbone inaugurò questa prima parte di lavori.
Il capolavoro d’architettura dell’acquedotto fu l’orgoglio maggiore del Vanvitelli e di tutte le maestranze che avevano collaborato con lui sotto la guida tecnica di Collecini e Patturelli. L’acqua zampillò finalmente dalla collina di Briano, alimentando le numerose cascate del parco della Reggia, proprio in tempo per salutare la nuova regina di Napoli, Maria Carolina, alla quale è stata intitolata l’opera.
La parte dei Ponti della Valle è considerata tra le più grandi opere d’arte del mondo e rappresenta l’elemento più scenografico dell’intero condotto. Quel ponte con le sue triplici arcate ben proporzionate testimonia, a distanza di secoli, il genio avveniristico di Vanvitelli. I 44 piloni della parte superiore sono a pianta quadrata e terminano con una strada larga quasi due metri racchiusa da due spalliere. I passaggi interni sopra ciascun ordine formano gallerie luminose utili al controllo del sistema. L’intonaco rosso sui mattoni conferisce un’aria decisa ma armoniosa sul grigio del tufo.
L’opera è meravigliosa in qualsiasi ora del giorno, perfino a tarda sera se c’è la luce della luna piena. Se si sale il monte Garzano, si passa l’arcata che porta le grandi lapidi commemorative della costruzione dell’acquedotto, poi a mezza costa del monte si passa sotto un’arcata dell’ultimo livello degli archi del condotto. Da lì il panorama dei Ponti della Valle è spettacolare.
Quando c’è la bella stagione in queste zone c’è l’usanza di fare picnic e lunghe passeggiate tra i vari ponti. Spesso sul posto è possibile trovare trovare venditori di vario genere ed anche quelli di street food che vendono in particolare ‘o pede e ‘o musso, piatto tipico, gustoso ed economico fatto con affettato del piede e del muso di vitello e servito con sale e limone da mangiare rigorosamente con le mani.